MILANO – Starbucks, catena di caffè americana fondata nel 1971, è la più grande catena del suo genere al mondo. Conta infatti, quasi 29mila punti vendita in 78 paesi, di cui 12mila solo negli Stati Uniti. Da quest’anno, precisamente da settembre, a Milano, in piazza Cordusio, anche l’Italia ha visto l’apertura del suo primo punto, con la caffetteria più grande d’Europa.
Starbucks, perché funziona in tutto il mondo
Presto detto, tutte le catene in franchising americane o estere di successo, riescono a rendere l’acquisto nei propri punti vendita un’esperienza da vivere, indimenticabile e riconoscibile, inglobando il prodotto all’interno di concept che racchiudono: immagine, identità, marketing, design e comunicazione.
Non a caso, catene come Domino’s Pizza o Pizza Hut, le cui pizze paragonate alla pizza italiana, e in particolar modo a quella napoletana, impallidiscono, sono riusciti a diventarne “portavoce” in tutto il mondo, creando business da svariati miliardi di euro. Perché, paradossalmente, focalizzandosi meno sull’eccelsa qualità del prodotto e molto di più sulla comunicazione e sull’immagine, riescono a fondere il proprio marchio con il prodotto (già di per sé famosissimo in tutto il mondo).
Starbucks non fa affatto differenza. Apertamente ispirato al “caffè all’italiana”, dal modello sociale a quello commerciale, ne è un esempio la nomenclatura dei prodotti, come: “espresso”, “cappuccino”, “macchiato”, è però concentrato più sull’idea di vendere “l’esperienza della caffetteria italiana”, che sul prodotto “caffè italiano”, è questo il retro pensiero che ne decreta il successo.
La caffetteria italiana non è ancora in pericolo
Per Starbucks non sarà affatto facile conquistare l’Italia, nemmeno nei tempi d’oro della globalizzazione alimentare. Il fatto che abbia impiegato quasi 50 anni ad aprire un proprio punto sul nostro territorio ne è una prova. A detta dello stesso presidente onorario della società, Howard Schultz, che non aveva mai trovato l’assetto giusto per inserirsi in Italia, “Agli italiani non piacciono le tazze di plastica, non considerano neanche la possibilità di prendere il caffè fuori dal bar, bevendoselo mentre camminano o guidano. L’Italia non ha certo bisogno di un altro bar e non sono io a dire ‘veniamo a insegnare’. L’obiettivo è piuttosto proporre un’esperienza complementare a ciò che già esiste: un Teatro del Caffè, si potrebbe dire, per raccontare la nostra interpretazione di un rito. Sarà anche un luogo da visitare. Semplicemente. Questo è un sogno nel quale abbiamo messo cuore e spirito. Anzi, è la concretizzazione dei sogni di tutta la mia vita“. Piuttosto noi la riteniamo una sfida, che sono probabilmente destinati a perdere, almeno per il momento, per una serie di ragioni. Analizziamole insieme.
Le nostre 5 ragioni di un “No”:
- Noi italiani siamo tradizionalisti, non amiamo variazioni su espresso e macchiato;
- Il nostro mercato interno è già saturo di bar e caffetterie;
- I prezzi nettamente superiori, di circa il 150% in più, in media, sono un deterrente;
- Target ristretto quasi esclusivamente a ragazzini e turisti;
- Ultima, ma prima tra tutte: difficile proporre una copia, in patria, del modello originale.
Starbuks, dopo l’apertura di settembre, ha però annunciato l’apertura entro fine anno di altri 4 negozi a Milano (uno di questi, forse a Malpensa, probabilmente la scelta più fortunata possibile in tutto lo Stivale, a nostro parere).
Questa è l’analisi di Alkemya sul tema, e tu cosa ne pensi?